Informazioni personali

La mia foto
brescia, Italy
studentesse problematiche, future paracadutiste, amanti del sabato sera su 2 ruote; frequentanti il terzo anno del LICEO, umanstico di brescia, veronica gambara; il quale è simile al classico, ma senza greco, ma in PIU' c'è francese, scienze sociali, diritto, biologia, fisica e c'è moolta più matematica!! altro che arnaldo light...!! parola di lupetto!! auuuuuuuuuuuuuuuuh!!!

venerdì 26 marzo 2010

CESARE LOMBROSO

http://www.filosofico.net/lombroso.htm




Cesare Lombroso nacque a Verona nel 1835.

Incaricato di un corso sulle malattie mentali all'università di Pavia nel 1862, divenne in seguito direttore dell'ospedale psichiatrico di Pesaro e professore di igiene pubblica e medicina legale all'università di Torino (1876), di psichiatria (1896) e infine di antropologia criminale (1905).

Morì a Torino nel 1909.

Tra le sue opere più importanti, ricordiamo:

* La medicina legale dell'alienazione (1873);

* L'uomo criminale (1875);

* L'uomo delinquente (1876);

* L'antisemitismo e le scienze moderne (1894);

* Il crimine, causa e rimedi (1899).

La figura di Cesare Lombroso è emblema dell’influenza che il Positivismo francese e inglese esercitò anche in Italia, soprattutto nella forma evoluzionistica propugnata da Spencer.

In Italia, il Positivismo attecchì soprattutto sull’onda del pur tardivo sviluppo industriale, che portò alla formazione di una nuova borghesia imprenditoriale: non stupisce allora se esso si affermò soprattutto negli studi di antropologia e di biologia.

Seguace e assertore del metodo positivistico, che lasciò una notevole traccia nelle varie branche medico-biologiche, Lombroso compì studi di medicina sociale che costituiscono una delle fonti principali della legislazione sanitaria italiana.

Ma il suo nome resta legato soprattutto all'antropologia criminale, di cui è ritenuto il fondatore, insieme con la "scuola positiva del diritto penale", in cui influenzò le teorie poi sviluppate da E. Ferri.

Riallacciandosi alla dottrina di Galton, della criminalità innata e biologicamente condizionata, Lombroso sostenne che le condotte atipiche del delinquente o del genio sono condizionate, oltre che da componenti ambientali socioeconomiche (di cui non riconobbe però il vero peso), da fattori indipendenti dalla volontà, come l'ereditarietà e le malattie nervose, che diminuiscono la responsabilità del criminale in quanto questi è in primo luogo un malato.

In particolare nell’opera L’uomo delinquente, Lombroso sostiene l’ardita tesi secondo cui i comportamenti criminali sarebbero determinati da predisposizioni di natura fisiologica, i quali spesso si rivelano anche esteriormente nella configurazione anatomica del cranio.

L’idea che la criminalità sia connessa a particolari caratteristiche fisiche di una persona è molto antica: la si trova già, ad esempio, nell’Iliade di Omero, nel cui libro II la devianza di Tersite è direttamente legata alla sua bruttezza fisica; le stesse leggi del Medioevo sancivano che se due persone fossero state sospettate di un reato, delle due si sarebbe dovuta considerare colpevole la più deforme.

Memore di questa tradizione, Lombroso è convinto che la costituzione fisica sia la più potente causa di criminalità: e, nella sua analisi, egli attribuisce particolare importanza al cranio.

Studiando quello del brigante Vilella, rileva che nell’occipite, anziché una piccola cresta, c’è una fossa, alla quale dà il nome di “occipitale mediana”.

La cresta occipitale interna del cranio, prima di raggiungere il grande foro occipitale, si divide talvolta in due rami laterali che circoscrivono una "fossetta cerebellare media o vormiense", che dà ricetto al verme del cervelletto.

Questa caratteristica anatomica del cranio è oggi chiamata fossetta di Lombroso: egli riteneva si trattasse di un carattere degenerativo più frequente negli alienati e nei delinquenti, che classificava in quattro categorie:

* i criminali nati (caratterizzati da peculiarità anatomiche, fisiologiche e psicologiche),

* i criminali alienati,

* i criminali occasionali,

* i criminali professionali.

Ma Lombroso non limita la propria indagine al cranio: considerando anche le altre parti del corpo umano, egli arriva a sostenere che il “delinquente nato” ha generalmente la testa piccola, la fronte sfuggente, gli zigomi pronunciati, gli occhi mobilissimi ed errabondi, le sopracciglia folte e ravvicinate, il naso torto, il viso pallido o giallo, la barba rada.

Influenzato dalle teorie di Darwin, Lombroso sostiene poi che il “delinquente nato” presenta delle caratteristiche ataviche, ossia simili a quelle degli animali inferiori e dell’uomo primitivo; tali caratteristiche renderebbero difficile o addirittura impossibile il suo adattamento alla società moderna e lo spingerebbero sempre di nuovo a compiere reati.

Nella prospettiva lombrosiana domina il determinismo più assoluto, per cui quel che si fa dipende necessariamente da ciò che si è: privo di ogni libertà, l’uomo agisce in maniera deterministica e necessitata.

Anche in forza delle dure critiche a cui la sua teoria fu sottoposta, Lombroso andò via via correggendola, sempre più arretrando dal suo iniziale determinismo assoluto: egli arrivò a sostenere che i delinquenti nati fossero solo un terzo di coloro che infrangevano le norme e che ogni delitto aveva origine in una molteplicità di cause.

Lombroso indicò anche le conseguenze giuridiche della propria dottrina: poiché il crimine non è il frutto di una libera scelta (il che striderebbe con l’adesione ai canoni del Positivismo), ma è piuttosto la manifestazione di una patologia organica, cioè di una malattia, allora la pena deve essere intesa non come una punizione (ché non ha senso punire chi non ha agito liberamente), ma semplicemente come strumento di tutela della società.

In Genio e follia (1864) Lombroso sostenne che le caratteristiche degli uomini di genio vanno ricercate nella loro anormalità psichica; quest'opera fu considerata un classico della scienza positivistica ed ebbe enorme fortuna.

A Torino lo studio di Lombroso era presso la Facoltà di Medicina Legale, dove effettuò centinaia di autopsie sui corpi di criminali, prostitute e folli.

Fondò poi il Museo di Antropologia Criminale di Torino, che raccoglie i materiali di tutte le sue ricerche (da cimeli a reperti biologici, da corpi di reato a disegni, da manoscritti a fotografie e strumenti scientifici).

venerdì 22 gennaio 2010

TURNER & il concetto di PERFORMANCE

1.1 Dramma sociale, riti di passaggio e liminalità
La performatività può essere utilizzata come chiave interpretativa di alcuni caratteri delle nuove tecnologie e in particolar modo può essere un concetto utile per connotare di una veste teorica la costruzione di senso attraverso l’agire favorita dagli strumenti mediatici digitali.
Per comprendere appieno il concetto di performatività è però necessario riflettere sull’idea stessa di performance come pratica corporea necessaria ad una ridefinizione critica del reale e potenziale non-luogo di margine e di passaggio da situazioni sociali e culturali definite a nuove aggregazioni sperimentali.
La riflessione teorica di Victor Turner è quella che meglio si adatta al riguardo, proprio perché tale autore utilizzò il concetto di performance per penetrare le fenomenologie liminoidi (zone potenzialmente feconde di riscrittura dei codici culturali) e da qui anche la trasformazione sociale stessa.
Victor Turner (1920-1983) è un’esponente dell’antropologia sociale britannica.
Egli analizza la realtà sociale privilegiando la componente trasformativa e conflittuale contrapponendo al metodo struttural-funzionalista quello di extended case method.
Egli analizza la vita sociale in un villaggio degli Ndembu, una popolazione della Rhodesia del Nord, oggi Zambia.
Egli comunque non circoscrisse le sue analisi teoriche alle popolazioni native dei paesi in via di sviluppo, ma analizzò a fondo anche le dinamiche oppositive e processuali delle società complesse occidentali, attuando una comparazione fra scenari culturali diversi.

venerdì 15 gennaio 2010

l'altro significativo

La teoria sociale cognitiva riveste un ruolo estremamente importante nella psicologia sociale contemporanea, in particolare sul versante di studio della personalità.
Una elevata importanza in questo nucleo teorico è attribuita alla teoria sociale cognitiva di Albert Bandura.
Da questo modello hanno preso il via numerosi altri ricercatori, costituendo una corrente di pensiero che prende le mosse dal cognitivismo, e costruisce un'analisi delle condotte individuali incentrata sui contesti sociali che vedono tali condotte esprimersi.

La riflessione di Bandura sul costrutto indicato con il nome di “autoefficacia percepita” (perceived self efficacy), segna il punto di approdo degli sviluppi della teoria dell'apprendimento sociale e la nascita della teoria sociale cognitiva (Bandura, 1997).
Nella teoria sociocognitiva l’agentività umana opera all’interno di una struttura causale interdipendente che coinvolge una causazione reciproca triadica L’agentività (agency) è la facoltà di far accadere le cose, di intervenire sulla realtà, di esercitare un potere causale.
L’agente (agent) è qualcosa o qualcuno che produce o è capace di produrre un effetto: una causa attiva o efficiente.
Caratteristica essenziale dell'agentività personale è la facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi.
I fattori personali interni (eventi cognitivi, affettivi e biologici) il comportamento e gli eventi ambientali operano come fattori causali interagenti che si influenzano reciprocamente in modo bidirezionale.
Il fatto che le tre classi di fattori causali si influenzino reciprocamente non significa che esse abbiano lo stesso peso.
La loro relativa influenza varierà a seconda delle attività e delle circostanze.


La teoria della discrepanza del Sé e la genesi di emozioni negative
Tory Higgins (uno autore fondamentale nel filone della social cognition) a partire dagli studi sull'accessibilità e la disponibilità dei costrutti cognitivi, ha identificato una teoria che indaga le cause degli stati emotivi negativi.
Higgins evidenzia come differenti rappresentazioni dei tipi di discrepanza del Sé siano collegati a differenti tipi di emozioni: un dominio del Sé, che comprende il Sé attuale (la propria rappresentazione degli attributi che si ritiene che qualcuno, se stesso o un altro significativo, crede che possediamo), un Sé ideale (la propria rappresentazione degli attributi che si ritiene che qualcuno, se stesso o un altro significativo, crede che si dovrebbero idealmente possedere), un Sé normativo (la rappresentazione degli attributi che si ritiene che qualcuno, se stesso o un altro significativo, che si dovrebbero possedere.
Un punto di vista del Sé (proprio, e dell'Altro significativo).
Discrepanze tra il proprio Sé attuale e il proprio Sé ideale significano un'assenza di esiti positivi ( a livello di rappresentazioni individuali), ed un vissuto legato all'abbattimento e alla depressione (disappunto, insoddisfazione, tristezza).
Più nel dettaglio, discrepanze dal proprio Sé attuale con il proprio Sé ideale sviluppano emozioni legate alla frustrazione, al "non completo"; mentre una discrepanza tra il proprio Sé attuale con il Sé ideale dell'Altro significativo porta ad emozioni come vergogna e imbarazzo. Diversamente, discrepanza tra il proprio Sé attuale ed il proprio Sé normativo significa la presenza di vissuti negativi, legati a senso di colpa e disprezzo di sé.
Discrepanze legate al proprio Sé normativo, portano a emozioni legate alla propria debolezza morale, alla propria mancanza di valore e indegnità.
Discrepanze tra Sé attuale e Sé normativo costruito su aspetti sviluppati dall'altro generalizzato, porta ad emozioni legate alla paura o sensazione di essere minacciato.
Le discrepanze del Sé sono analizzate in termini di disponibilità (costrutti presenti in memoria e adoperati per elaborare nuove informazioni) ed accessibilità (la leggibilità di un costrutto immagazzinato nell'elaborazione delle informazioni) per identificare quanto essi influiscono sulla condotta.
La misura delle discrepanse del Sé è sviluppata attraverso dei test carta-matita.
Obiettivi di performance e obiettivi di sviluppo
Il contributo di Dweck rappresenta forse il più esemplificativo negli studi sull'interazione tra processi psicologici di base e contesto sociale. Questi autori definiscono un cognmodello sociale cognitivo di personalità che attribuisce all’obiettivo che ciascuno si prefigge la caratteristica di influenzare il comportamento.
Entro questo orientamento di ricerca, viene operata la differenza tra obiettivi legati all'apprendimento e obiettivi legati alla performance.
Dweck e colleghi affermano che le teorie implicite influenzano la tipologia di obiettivi da perseguire, e, più in generale, gli orientamenti motivazionali con cui la persona elabora la condotta.
Dweck e colleghi evidenziano inoltre come gli obiettivi orientati alla performance abbiano la funzione difensiva di ricercare conferme del proprio valore, attraverso la messa alla prova, e come essi siano spesso associati a condotte deboli e non adattive.
Gli obiettivi di apprendimento sono invece più spesso legati a condotte adeguate e caratterizzate da una maggiore, e più efficace, persistenza.

mercoledì 13 maggio 2009

i VALORI

Un valore è una concezione del desiderabile, esplicita o implicita, distintiva di un individuo o caratteristica di un gruppo, che influenza l’azione operando una selezione tra i modi, i mezzi e i fini disponibili.
I valori variano storicamente e geograficamente perché non appartengono al mondo assoluto delle idee, ma sono interconnessi alla realtà sociale.

Il contributo di Clyde Kluckhohn
Il sociologo e antropologo statunitense Clyde Kluckhohn, (1905-1960), tra i principali autori in materia, afferma che i valori si distinguono dalle preferenze perché indicano ciò che è desiderabile e non ciò che è desiderato, comportano cioè un dover essere.
In questo senso possiedono una dimensione normativa.
Inoltre, i valori possiedono
- una dimensione affettiva: indicano il desiderabile. Sono interiorizzati dall'individuo e, se trasgrediti, producono in lui senso di colpa;
- una dimensione cognitiva;
- una dimensione selettiva: influenzano nettamente la capacità di scelta e l'orientamento dell’agire sociale.

Il contributo di Talcott Parsons
Il sociologo americano Talcott Parsons, (1902-1979), identifica quattro dilemmi fondamentali (chiamati variabili strutturali) che costituiscono, nelle culture moderne, una sorta di mappa dei valori socialmente riconosciuti:
- Universalismo/particolarismo; l’attore si orienta secondo criteri di carattere generale (la stessa regola vale per tutti) o particolare (ciò che si è disposti a fare per qualcuno non vale per tutti).
- Prestazione/qualità; l'attore valuta l'altro per ciò che è stato in grado di realizzare (ciò che ha fatto) o per ciò che lo caratterizza (ciò che è).
- Neutralità affettiva/affettività; l'attore partecipa a relazioni che includono coinvolgimento emotivo oppure no.
- Specificità/diffusione: l'attore valuta solo determinati aspetti o competenze oppure la totalità della persona.
In generale, il dilemma si ha tra un orientamento self e un orientamento alter.

lunedì 11 maggio 2009

ATTEGGIAMENTI


Gli atteggiamenti sono valutazioni positive o negative di un oggetto, sono composti da:- elementi cognitivi, ossia convinzioni, credenze, pregiudizi e conoscenze sulla facilità di alcuni studi, la prestigiosità di alcune carriere, ecc.- elementi emotivi, anch’essi basati su pregiudizi e stereotipi, come l’interesse verso un settore, o anche la noia o la fatica evocate da determinate professioni- elementi conativi, cioè volontà di azione, modi di intervenire, comportamenti in cui si affronta preferibilmente un situazione o un argomentoL’atteggiamento è quindi una valenza, positiva o negativa, verso un oggetto.
Un atteggiamento favorevole o sfavorevole si forma con la soddisfazione di un bisogno.
I bisogni dipendono dalla personalità, ad esempio la valutazione positiva di un comportamento sportivo, di un hobby, di una moda, può essere dovuta a un bisogno di affiliazione che quella oggetto consente di soddisfare.
Oppure, persone depresse tendono a valutare positivamente le professioni di aiuto perché in questo modo si sentono utili, oppure, negli studenti appena diplomati, la scelta di una facoltà prestigiosa può soddisfare una motivazione di compiacimento verso i genitori.
1. Multilateralità, ossia da quanti elementi, di natura cognitiva, emotiva e comportamentale, compongono l’atteggiamento.
Un atteggiamento è isolato se composto da un solo elemento, ad esempio l’attrazione verso la dalla carriera di avvocato solo perché si guadagna bene.
2. Coerenza tra elementi cognitivi, emotivi e comportamentali, se cioè sono tutti positivi o tutti negativi, a meno che non abbiano subìto un effetto artificiosamente omogeneizzante.
Infatti, ogni elemento discorde rischia di venir forzatamente conformato alla tonalità generale (teoria dissonanza di Festinger).
Ad esempio, è coerente un atteggiamento positivo verso la carriera di medico se si pensa all’aspetto del guadagno, del curare i malati, dell’avere un parente con uno studio già avviato e in cui quindi ci si potrebbe inserire.
Un utile esercizio per valutare l’intensità dei propri atteggiamenti è quindi quello di enumerane tutte le componenti che lo compongono, contarle e valutare quanto sono coerenti tra loro.
Ma enumerando anche le note negative e rendersi consapevoli dello sforzo per espungerle o conformale artificiosamente alla tonalità positiva, pur di preservare un quadro coerente.
3. Interconnessione, ossia quanto sono interconnessi o isolati i vari elementi dell’atteggiamento. Un eccesso di interconnessione è dannoso perché crea un’ideologia, ossia un sistema di credenze molto resistente al cambiamento, anche quando esposto a informazioni contrarie (teoria dell’equilibrio di Heider).
4. Numero dei bisogni soddisfatti e relativa priorità. Un atteggiamento è stabile se soddisfa numerosi bisogni e se tali bisogni sono gerarchicamente importanti per la persona.
Se si ambisce a una professione cui si guadagna bene, l’atteggiamento verso la professione di medico sarà stabile, a meno che non cambi la gerarchia dei bisogni e guadagnare bene non è più prioritario, per cui anche l’atteggiamento verso la carriera di medico non sarà più così positivo. Da cosa dipende il cambiamento degli atteggiamenti
Gli atteggiamenti cambiano quando:- si possiedono informazioni aggiuntive- cambiano le motivazioni del comportamento, ad esempio quella affiliativi: cambiano i gruppi di riferimento o si attenua con la crescita e l’indipendenza il condizionamento esercitato da genitori e cultura locale- erano determinati da una moda passeggera o soddisfacevano pochi bisogni e non prioritari.
Il cambiamento degli atteggiamenti può essere congruente o incongruente- Congruente se si accresce la valenza, per cui un atteggiamento positivo diventa più positivo: gli atteggiamenti hanno la spontanea tendenza a intensificarsi. - Incongruente se c’è una conversione da positivo a negativo.
Questa è una circostanza molto più rara, in genere dovuta ad atteggiamenti motivati da mode, come il voler diventare un cantante perché colpito dal successo di un giovane cantante.
E’ più facile farsi un’opinione che cambiarla. Per cambiarla occorre indebolire le resistenza che la mente oppone per difendere la sua stabilità.
Cambiare opinione significa rompere un equilibrio, cadere nel caos e dover faticosamente ricreare un nuovo equilibrio.
Una volta creata un’opinione, la mente si affezione ad essa e cerca in tutti i modi di preservarla.
Non basta quindi incrementare la quantità di informazioni su un dato argomento per cambiare opinione su quell’argomento, perché la mente non è permeabile a tutte le informazioni, non è predisposta a riceverle tutte indistintamente.
Seleziona solo quelle che confermano l’opinione che già si possedeva su un argomento e non si fa condizionare da quelle contrarie.
E’ più facile quindi cambiare opinione in senso congruente che incongruente: quando si ha un’opinione positiva su un argomento, aumentando le informazioni su quell’argomento, l’opinione tende a rafforzarsi e a diventare più positiva, oppure, se negativa, tende a diventare più negativa.
Spesso ci si irrigidisce su una posizione, ci si fissa su una scelta che si vuole effettuare, ma che spesso non è realistica, non è libera perché frutto di condizionamento o mode transitorie, e sarebbe opportuno cambiarla, ma la mente tenderà a preservarla, quindi anche se ci si espone a informazioni che ne discutono l’attendibilità, che evidenziano come sia inopportuna, la mente si irrigidisce ulteriormente, si oppone cercando argomentazioni a proprio sostegno.
È più facile che si compia una scelta ottimale, che si agisca con equilibrio, se si parte da una posizione di neutralità piuttosto che da una posizione già molto marcata, sia in senso negativo che positivo.
Quando si hanno le idee troppo chiareSi può tendere a fissarsi su una posizione, convincersi che sia quella giusta, e si cercano inconsciamente conferme alla sua validità, cercando anche esempi e dimostrazioni.
Spesso si cade in posizioni rigide e intransigenti anche per la confusione indotta dall’alto numero di opzioni, confusione che rende più seducibili da mode e predispone verso soluzioni-ancoraggio a cui aggrapparsi per uscire da un caos intollerabile.
In altri termini, ad esempio, le posizioni di partenza di tipo marcatamente negativo, che mirano a escludere categoricamente un’ipotesi, possono derivare da una dinamica difensiva dovuta a un bisogno di sicurezza.
In questo caso per cambiare opinione o renderla più realistica occorre riflettere sul proprio bisogno di sicurezza.
In sintesi, la quantità delle informazioni non è sufficiente a cambiare atteggiamento, le informazioni sono filtrate emotivamente e si tende a coglierne gli elementi più suggestivi o quelli in linea con atteggiamenti pre-esistenti.
Quando un altro tenta di spiegare razionalmente a noi stessi l’inopportunità di un atteggiamento, può scatenare atteggiamenti rigidi e difensivi, come accade, ad esempio, quando si tenta di convincere un accanito fumatore a togliersi il vizio perché fa male alla sua salute, oppure quando si spiega a un figlio neodiplomato con argomenti razionali che la scelta di una facoltà letteraria è sconsigliata a causa di una scarsa ricaduta occupazionale.
Ciò tende a scatenare una rabbiosa irrigidimento difensiva che, nel caso del fumatore accanito, porterà ad irritazione e difesa della propria legittimità a "farsi del male", nel caso dello studente con velleità artistiche, si rivelerà attraverso l'idealizzazione della carriera e la tendenza a ribadire di essere portato verso quegli studi e di avere una vocazione e una passione che consentirà di superare gli ostacoli.
Cambia inoltre la sensibilità verso le fonti di informazione: persone più colte tendono ad attribuire più credibilità a quelle scritte, lette su giornali o siti di settore, mentre quelle meno colte tendono a reperirle e ad affidarsi a quelle televisive.
Si è più sensibili anche verso informazioni che la persona cerca attivamente piuttosto quelle passivamente ricevute.

lunedì 27 aprile 2009

La teoria delle Attribuzioni di Heider


Le attribuzioni sono una rete di microteorie che ciascuno di noi adotta nella realtà di tutti i giorni per spiegare la condotta propria e altrui, sono un insieme di procedimenti di investigazione con cui formiamo e alimentiamo tali teorie.
L'idea centrale che porta Heider ad occuparsi delle attribuzioni è che l'analisi ingenua dell'azione…

"esige la descrizione del nesso causale che contiene non soltanto i fatti direttamente osservabili (…) ma anche la loro connessione con processi e strutture soggiacenti più stabili, (…).
L'idea che l'uomo sia in grado di cogliere la realtà, nonché di prevedere e controllare le sue manifestazioni,riferendo comportamenti od eventi variabili e transeunti a condizioni soggiacenti (le cosiddette caratteristiche disposizionali del suo mondo) relativamente immutabili, è un importante principio su cui si basa la psicologia di senso comune, così come la teoria scientifica in generale.
(…) la struttura causale dell'ambiente, sia come la descrive lo scienziato sia come l'intende l'individuo ingenuo, è tale che noi siamo abitualmente in contatto solamente con quelli che possiamo chiamare i risultati o le manifestazioni di processi e strutture centrali soggiacenti”

(1958,113-114)

La teoria dell'attribuzione permette di:

• stabilire le invarianti essenziali del nostro mondo,
• assegnare agli oggetti, eventi e persone, caratteristiche durevoli e qualità tipiche,
• dare significato
• rendere prevedibili
• rendere controllabili eventi (soprattutto sociali),
• agire in modo adeguato, né cieco né casuale


Passaggi per comprendere i meccanismi dell'attribuzione secondo la teoria di Heider:

1. definire la struttura e le componenti dell'azione
2. cercare le cause dell'azione - domande fondamentali
3. leggere tali cause nell'ottica delle esigenze fondamentali dell'equilibrio cognitivo e del bisogno di giustizia
4. cogliere i biases di tale processo (tipo di spiegazione causale e errore fondamentale)
5. identificata la causa si può cercare la fonte della responsabilità ed il livello

lunedì 6 aprile 2009

TEST DI TURING


Nel 1949, il famoso neurochirurgo Sir Geoffrey Jefferson (1886-1961), nel suo scritto "No Mind for Mechanical Man" (Nessuna mente per l'uomo meccanico), esponeva una serrata critica ad un precedente articolo che riguardava la macchina universale di Turing.


«Fino a quando una macchina non potrà scrivere un sonetto o comporre un concerto suggeriti da emozioni realmente provati, e non per una scelta casuale di simboli, non potremo ammettere che una macchina eguagli il cervello umano; cioé che non solo scriva queste cose, ma che sappia di averle scritte.
E' certo che nessun meccanismo potrebbe provare piacere (e neppure manifestarlo artificialmente, un facile espediente) verso i propri successi e angosce quando gli saltano le valvole, né animarsi davanti alle lusinghe, o rattristarsi per i propri errori, o essere affascinato dal sesso, o incollerirsi o deprimersi quando non può ottenere ciò che desidera».

Queste argomentazioni, apparentemente logiche, erano in realtà facilmente confutabili, e la traccia per farlo era stata indirettamente suggerita nel MacBeth di William Shakespeare...

(SCENA QUARTA)
DUNCAN (re di Scozia): Non c'è arte per leggere nella faccia la costituzione della mente...

Ecco, a dispetto di quanto soeteneva Jafferson, le "emozioni" possono essere manifestate artificialment, e non c'è alcun modo per distinguerle da quelle reali... tralasciando il fatto che vi sono persone che non si compiacciono davanti alle lusinghe, né si rattistano per i propri errori, né soggiacciobo ai piaceri del sesso ed ai desideri materiali.

Alan Turing, in un articolo del 1950 Computing Machinery and Intelligence (Macchine calcolatrici e intelligenza), propose un criterio - oggi noto come "test di Turing" - per determinare se un computer fosse in grado di pensare. Turing era convinto che la sua macchina potesse effettuare qualsiasi operazione logica e, programmata con la necessaria abilità, entro il duemila avrebbe potuto simulare l'intelligenza umana.
Ecco come si dovvrebbe svolgere il test di controllo. Una persona si trova davanti ad un terminale e con la tastiera scrive delle domande e riceve delle risposte. Dall'altro capo del terminale ci sono una macchina ed un operatore umano che forniscono alternativamente le risposte alle domande. Se la persona non è in grado di distinguere quando sta interloquendo con una macchina e quando con un operatore umano, allora la macchina è intelligente.

Finora nessun programma ha superato il test di Turing. Il primo ad aver ottenuto un certo successo, è Eliza, un programma scritto nel 1966 da Joseph Weizenbaum. Eliza è una psicoterapeuta che simula una conversazione tra lei (il medico), e voi (il paziente).

paziente: gli uomini sono tutti uguali
computer: in che senso
paziente: ci fregano sempre in qualche modo
computer: puoi fare un esempio specifico
paziente: un mio amico mi ha fatto venire qui
computer: un tuo amico ti ha fatto venire qui
paziente: dice che sono quasi sempre depressa
computer: mi dispiace sentire che sei depressa
paziente: è vero sono infelice
computer: credi che venire qui ti aiuterà a non essere infelice
paziente: ho bisogno di aiuto, questo è sicuro
computer: cosa intendi come aiuto
paziente: forse potrei riuscire ad andare d'accordo con mia madre
computer: parlami di tua madre

Una conversazione di questo tipo porta a domandarsi se si può realmente ritenere se è il computer che pensa veramente, o piuttosto sono le persone che possono sostenere una conversazione senza bisogno di pensare!

In effetti, il programma Eliza non era molto convincente; tuttavia, ai primordi dei computer domestici molte persone erano convinte che un computer fosse un "cervello" elettronico e quindi non facevano molto caso alla piega bizzara che ben presto delineava la "seduta". D'altra parte, il test di Turing non prevedeva l'ingenuità della persona incaricata di saggiare la macchina: doveva essere un operatore esperto.
Dopo Eliza sono stati realizzati molti programmi per simulare l'intelligenza; sebbene alcuni siano progettati per argomenti ben definiti (per es. teatro di Shakespeare), nessuno è stato in grado di ingannare un giudice esperto.

Nucleare: grande risorsa che porta il mondo moderno, della tecnologia e dei consumi, al progresso; oppure inutile spesa, che comporta tagli a campi fondamentali per un reale sviluppo (come la scuola) oltre che un grave danno sull'impatto ambientale?